Folfiri o Folfox – Afterhours: la recensione
Folfiri o Folfox, il nuovo lavoro degli Afterhours, è – come la sua traccia d’apertura – un grande disco. Bisogna ammetterlo fin da subito. È il disco di chi è diventato grande e si è lasciato alle spalle il trauma di diventarlo, doloroso come la perdita di una persona cara e dell’odore della sua giacca, di tutto ciò che «resta dentro di me», come sospira accorato Manuel nella terza, potentissima, traccia. Le parole che ricorrono più spesso entrano nella sfera semantica della religione e del cambiamento (Dio, padre, giudice, diventare grandi) con la consapevolezza viscerale di chi ti sta dicendo: «ho visto la crepa in me / la vita che gocciola via / ma ci sarà una via». E quella via è dentro la musica stessa.
Per pubblicare un doppio album nel 2016, inoltre, bisogna avere per forza tante cose da dire e tanto più forte è questa operazione quanto la progressiva perdita di contenuti in termini di scrittura, di songwriting, che sembra affliggere gran parte della musica italiana, ma non solo, oggi: ecco, Agnelli sa ancora scrivere grandi pezzi come fa da anni, perché è sincero ed onesto nel farlo (Il trucco non c’è, insomma) e se un titolo del secondo cd recita Fra i Non Viventi Vivremo Noi, lunga vita ai nuovi After, lunga vita alla nuova formazione con il funambolico Fabio Rondanini (Calibro 35) alla batteria e Stefano Pilia alla chitarra.
Se il primo estratto, Non Voglio Ritrovare il tuo Nome, riporta ai (bei) tempi e ai giri armonici di Non è per Sempre, il resto dell’album si presenta come riccamente composito e sperimentale nella giusta misura – dalla forma canzone Grunge più tradizionale in Ti Cambia il Sapore al decostruzionismo puro in San Miguel –, a comporre un quadro di 18 immagini che abbracciano tutte le sfumature del vivere e del morire. In chiusura, dal sapore premonitore e in qualche modo paradossale, fa quasi sorridere un brano dal titolo Se Io fossi il Giudice, traccia in realtà estremamente profonda nel suo messaggio, in cui l’anafora del «libero di … non piacerti più, non essere più me, di buttare tutto via» sembra sposare alla perfezione le recenti dichiarazioni di Agnelli sulla sua partecipazione come giudice a X-Factor. «Sono un artista libero», ha affermato. D’accordo o meno, per fortuna lo è; e poi c’è chi – come l’autore di questo articolo – serba ancora l’insita speranza che in realtà sia un’infiltrazione per sabotare il sistema dall’interno. Sarebbe un gran coup de théatre, come Manuel spesso ci ha abituati a vedere.
Giulio Pantalei