Zanzotto, Pavese, Artaud: la letteratura in Obtorto Collo. Intervista esclusiva a Pierpaolo Capovilla di Giulio Pantalei
Mezzora al soundcheck. Backstage dell’Orion di Ciampino. Seduto su un divano aspetto col taccuino in mano quello che credo essere il paroliere italiano più raffinato dell’ultimo decennio. Ascoltare per credere Obtorto Collo, primo album solista uscito a Maggio per La Tempesta Dischi. Con la consueta disponibilità ed una bellissima giacca di velluto, Pierpaolo giunge dopo pochi istanti.
I tuoi testi sono da sempre un ricchissimo inventario letterario. In Obtorto Collo compaiono Andrea Zanzotto e Cesare Pavese. Perché proprio questi due poeti?
Andrea Zanzotto è innanzitutto un mio conterraneo, un poeta partigiano, uno dei più grandi intellettuali italiani del ‘900. Mi piace attraverso la metafora poetica creare un’affabulazione per cui dalla musica si arrivi alla poesia, alla storia, alla politica … che poi sono la stessa cosa. Per Pavese la questione è leggermente diversa, anche se conoscevo meglio Pavese che Zanzotto come poeta, ne La Luce delle Stelle parlo di Torino e dell’Hotel Roma, dove sono spesso stato. Ma non mi hanno mai dato la stanza in cui Pavese si è suicidato. Volevo dormire in quel letto per una notte. Ti racconto questa … un giorno ho chiamato l’albergo, mi risponde la receptionist, le chiedo se sa indicarmi la stanza in cui è morto Pavese e lei mi fa: “Ma guardi che qui non è morto nessuno!!!”. Allora le dico: “Mi passi il direttore per favore …”. Capito?! È come se Pavese non fosse mai stato lì, come se quell’episodio non fosse mai esistito, perché in questo Paese si dimentica tutto – soprattutto le cose più importanti – con una velocità inimmaginabile! E si dimentica più che negli altri paesi, è un dato di fatto.
Proprio a questo proposito, dal momento che tu ricerchi un’intimità profonda – quasi filologica – nel dialogo con i testi, può secondo te la poesia, anche espressa con la musica, avere ancora un effettivo rilievo in un mondo comunicativo dominato dalla citazione di due righe su Facebook, dalla frase ad effetto sui social network?
Io mi muovo in direzione ostinata e contraria a questo stato delle cose. Mi sento quasi un reazionario, magari è una presa di posizione stupida, ma semplicemente ne ho abbastanza! Io mi ero illuso riguardo a Internet: pensavo fosse una risorsa positiva, che dall’esser stata inventata per la guerra nucleare e per scopi militari era riuscita – grazie alle persone – a diventare negli anni uno strumento di progresso e di condivisione. Si pensi alla cultura dell’open source per esempio. Poi sono comparsi i social network e tutto è finito. Guy Debord diceva che la differenza tra la democrazia occidentale e la dittatura era solo nell’unicità del punto di vista, delle reti televisive, dei media. Oggi si diventa schiavi di un presente continuo, sempre aggiornati su tutto sui telefonini. L’Italia è il paese in cui si vendono più telefonini al mondo!! E pensare che anche su quelli mi ero illuso. Inizialmente avevo molti dubbi sul comprare un cellulare, poi tutti mi consigliavano di comprarlo per lavoro e pensavo fosse d’aiuto. Invece il telefonino ha portato il lavoro a casa ed è diventato l’emblema del processo volitivo del consumo. I social network si impadroniscono dei desideri Si ritorna quindi all’alienazione: diventiamo più soli, più ignoranti, più brutti. Solitudine e cultura fanno un gran poeta, ma solitudine e ignoranza aumentano solo l’ansia del vivere.
Dedichi 82 Ore a Francesco Mastrogiovanni, compiendo un atto di memoria che mi ha ricordato Ion, Ahmed e Nicolaj ne Il Mondo Nuovo, tutti vittime innocenti nell’indifferenza generale...
È vero, ti ringrazio, è giustissimo che vengano tutti collegati.
… dunque, qual è per te in questo paese il valore della memoria attraverso l’arte?
Come diceva Majakovskij «l’Arte è lo scalpello con cui costruiamo le rappresentazioni del mondo». Noi viviamo di rappresentazioni del mondo, di narrazioni. L’arte aiuta quindi a rappresentare e narrare la storia, ovvero il contrario delle bugie e di chi ci esorta a dimenticare subito, sempre di più e agli inganni di chi vuole che accantoniamo la storia per vivere in un presente senza memoria.
Prima hai usato il termine “affabulazione”, una parola fortemente pasoliniana. Proprio a Pasolini hai dedicato uno dei tuoi intensi reading letterari. L’ultimo che ricordo era dedicato al poeta modenese Antonio Delfini. Hai nuovi progetti dopo questo disco?
Si, giusto, “affabulazione” è una parola pasoliniana, forse io la uso in modo un po’ improprio (sorride). Per Delfini sono stato invitato dal Comune di Modena, io non lo conoscevo, l’ho studiato e proprio quando ero nell’aula dell’università a lui dedicata ho pensato al fatto che fosse bellissimo esser pagati per studiare e recitare poesia. Certo, poi mi hanno fatto l’esame eh (ride)… però è stato molto bello! Per quanto riguarda nuovi progetti, è un’anteprima che è ancora in corso di progettazione e lavorazione, con il Maestro Zennaro stiamo allestendo uno spettacolo intitolato Elettroshock, incentrato sulle opere di Antonin Artaud. Roba bella tosta, insomma.
Giulio Pantalei, Target Magazine – Roma