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Indie-tro nel tempo. Avere 20 anni a Roma, oggi.

Dovrei fermarmi, dovrei andare indie-tro nel tempo. “Se continuiamo a correre, la polvere negli occhi” in questa società nevrotica che scorre sul letto della fiumana del progresso, in questo tempo frenetico che comprime la vita per dar spazio alla corsa lavorativa, in questo spazio-tempo dove “l’anima non conta”, prendiamoci una pausa “fermiamoci a pensare” a qualsiasi costo, qualsiasi sia la situazione anche “con i chilometri contro” anche se servono “troppi muscoli da usare”. “Vado di corsa e non so il perché”. “Fermiamoci a pensare” isoliamoci da questo universo ora che “la notte è finita e la droga è scesa”, dobbiamo ingannare il tempo, sfuggirgli fino a diventare “la persona più sola su questo pianeta”.
Lasciamo viaggiare la mente, voglio vedere cervelli fluttuanti poiché “vivere come volare ci si può riuscire soltanto poggiando su cose leggere” che immaginano il futuro che studiano il presente e sognano il passato. Di quante cose ci facciamo carico, quanta fatica per microfonare un cuore, quanti mali ci bucano come “lunghi siluri”, siamo impauriti perché ci siamo “rotti il cazzo degli esperimenti”, siamo un po’ già vecchi, a volte stanchi di vivere una vita che oggi sembra che “non finirà, non finirà mai”. E ora che sei fermo, eccoti aggrovigliare miliardi di idee, di possibilità, “miliardi di mondi esistono ancora, miliardi di vite per fallire ancora” ma forse rimuginare così fa troppo male e allora “mi spiace mio caro intelletto ma vattene a letto e dormici su, che forse il tuo mondo perfetto, non è perfetto come dici tu”. Quindi cerchiamo delle vie di fuga, anche se “ cosa fuggi non c’è modo di scappare”, in qualche modo dobbiamo scappare dal ticchettio del grande ingranaggio, che ci logora, qualsiasi strada è buona, “qualunque cosa anche una cosa stupida…vogliamo abolire la visione temporale della nostra esistenza, distruggere i confini “e se c’è un limite lo voglio spostare più in là”.
Abbiamo la speciale facoltà, un’attività tutta nostra, “distruggere tutto per il gusto di farlo, cambiare finestra, cambiare nemici per un nuovo risveglio” fatto di ceneri e rovine, scenari apocalittici da dove partire per una nuova vita sotto un nuovo giaccone di pifebo. Quindi il tempo che corre, noi che ci fermiamo a pensare, distruggiamoci a vicenda per poi ricominciare “perché il senso ad una cosa finita non puoi darglielo se un senso non c’è”. Nelle notti insonni “curvi su di un macbook pro” a scavare nel corridoio dei nostri pochi anni, l’ansia ci assale “e i brividi vengono su dalle gambe al petto”, “un groppo in gola ma non so perché”, “le gengive, la serotonina”, Morfeo ci abbandona ed ecco che “mangio la pizza e sono il solo sveglio in tutta la città”, cinguettano i passeri, è ora di chiudere le serrande. “La vita ci spinge verso direzioni diverse” da quelle prestabilite, da quelle stereotipare, giurisprudenza ed economia, università e master all’ estero, perché “milioni di libri non servono a niente, se servono solo a nutrire una mente che mente” anche perché tu “ vuoi aprire un’azienda che fa tende con le mani” dunque no, noi seguiamo strade altre, autori, cantautori, musicisti, poeti, giornalisti, fotografi, video-maker, grafici, fonici.
La generazione indie è una generazione di epigoni “perché a noi piacciono i dischi, le foto, i registi, i marchingegni alla moda, le muse, gli artisti, Piero Ciampi, Bianciardi, Notorius B.I.G, Pasolini e Jay-Z”, perché noi amiamo Fellini e Bellocchio, Goethe e Dostoevskij, Montale e Gozzano, Lauzi e De Andrè, Moro e Berlinguer, Schopenhauer e Karl Marx. Di maestri ormai non ne esistono più, sono sotto lamine di marmo e allora Tenco ma “dimmi che cosa mi manchi a fare, ti prego dimmi che cosa mi manchi a fare, tanto mi mancheresti lo stesso”. Viviamo come esseri alternativi alla cronologia, lanciati nel passato, nelle nicchie di una volta, nei circoli letterari, al Quirinetta, al Marmo, al Black Market e al Monk. Siamo nati al posto giusto, nel momento sbagliato, “maledetta sfortuna”. Quindi tanto vale vivere a pieno il nostro orologio vintage che rintocca ancora agli anni ’70, tanto vale gioirne, “arrivederci tristezza, oggi mi godo la mia tenerezza”.
Alessandro Aquilini
NdR: L’articolo si costruisce liberamente delle liriche di Brunori SAS, Motta, Calcutta, Panta, I Cani, L’Orso.
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