Un caffè con Michela
Conobbe la sua diagnosi nell’ascensore di un ospedale. Era l’autunno del 2008, Michela aveva poco più di 11 anni e seguiva con fiducia mamma e papà dai medici per capire cosa potesse esserci dietro quella veloce perdita di peso iniziata l’estate precedente. In quell’ascensore riuscì a sbirciare nella sua cartella clinica. Anoressia nervosa c’era scritto.
Mi racconta la sua storia davanti ad un caffé confessandomi qualcosa che non avrei mai immaginato: a lei la perdita di peso fece da subito una gran paura. Mangiava molto meno, è vero, ma non per il desiderio di dimagrire. Quando una mattina si era pesata in una farmacia vicino casa, si era talmente spaventata da chiedere subito alla mamma di poter comprare un pezzo di pizza.
Non è facile parlare del perché ad un tratto si smetta di mangiare. Ognuno ha la sua storia e molti non sapranno mai cosa abbia realmente spinto la mente a voler distruggere il corpo. Michela il suo percorso l’ha fatto tutto ed oggi ne parla con serenità e consapevolezza.
Al rifiuto del cibo si aggiunge presto l’iperattività, quel doversi muovere di continuo in una corsa incessante ed estenuante che non ti porta da nessuna parte.
Michela era già di suo molto magra ed i primi ricoveri arrivarono presto. Di alcune strutture conserva ricordi positivi, di altre meno. “Il problema è quando ti trovi di fronte a medici ed infermieri che si pongono come obiettivo la cura del sintomo, non della malattia”. Il problema è quando ti impongono di mangiare e non si rendono conto che è come chiedere ad un invalido di alzarsi dalla carrozzina e correre.
Poi Michela arriva a Todi. In una struttura pubblica, tra le mura di una dimora storica senza sbarre alle finestre, Michela arriva sfiduciata. Non ci resterà molto, la prima volta. Dopo solo un mese dovrà affrontare un nuovo ricovero ospedaliero per la criticità raggiunta dal suo peso. Ma in quel mese qualcosa è cambiato. Ritrovarsi in un ambiente pensato e costruito come una casa e non un ospedale, a contatto con ragazze che stanno percorrendo il tuo stesso cammino, seguita da un team di terapeuti che include il nutrizionista, lo psicanalista ed il filosofo e che non prevede l’utilizzo di sondini e flebo, segna per Michela la svolta. Dimessa dall’ospedale non passa nemmeno da casa. Ritorna a Todi e lì succede qualcosa di incredibile: Michela si siede e legge un libro. Michela si siede. La sua mente aveva iniziato a chiedersi il senso di tutto quel muoversi incessante ed estenuante e non aveva trovato risposta. Si era invece fatto strada un pensiero “Non voglio arrivare a 40 anni così” e a poco a poco tutti gli schemi che la mente in quei lunghi quattro anni si era costruita avevano iniziato a cadere.
Quando la incontro Michela non ha ancora 20 anni. E’ una ragazza bellissima e dolce e quando le chiedo se se la sente di mandare un messaggio a chi oggi vive questo dramma, non ha un attimo di esitazione. “Se ne esce. Fidatevi e affidatevi e alla fine ne sarete fuori”.
Tina Aiello