Marco Pantani. La storia, la leggenda
La sera del 4 Giugno 1994, in una stanza d’albergo vicino Merano, l’allora ventiquattrenne Marco Pantani studia. Cosa insolita per un ragazzo che con la scuola aveva sempre avuto un rapporto conflittuale, ma non tanto strana se consideriamo che quella sera Pantani studia la tappa del Giro d’Italia del giorno dopo. I compagni di squadra lo ricordano concentrato e scrupoloso nel chiedere informazioni su quel passo che lo avrebbe impegnato la mattina successiva e loro un po’ lo prendono anche in giro, perché quella sera in realtà Marco Pantani avrebbe potuto e dovuto festeggiare. Aveva infatti appena vinto la sua prima tappa: in una discesa mozzafiato che lo aveva visto lanciarsi a 90 km/h aveva staccato tutti ed ottenuto la sua prima vittoria da professionista. “Se non sfondo quest’anno vado con mia mamma a vendere piadine” aveva detto alla vigilia di quel Giro d’Italia. A vendere piadine non andò mai perché se quel 4 Giugno si è iniziato timidamente a fare il suo nome, il 5 Giugno 1994 Marco Pantani sale il primo gradino della sua ascesa nell’Olimpo dei Campioni. E quel gradino si chiama Mortirolo. 1854 metri di altitudine che vedono Evgenij Berzin in maglia rosa e Miguel Indurain favorito. Ma nell’ultima parte della salita Marco Pantani si alza sui pedali, saluta tutti e va. Indurain lo riprende in discesa, ma sulla pendenza di Santa Cristina Pantani riparte e vince. Non conquista quel Giro, ma ne esce come il vero trionfatore. La sua scalata nell’Olimpo dei Campioni inizia da qui, da quell’estate del 1994 a cui arriva dopo anni passati in bicicletta, da quando era salito per la prima volta su quella della madre e si era unito ai coetanei del G.C. Fausto Coppi di Cesenatico e con quella bici da donna, vecchia e pesante, li aveva staccati tutti. Salite e cadute sono due costanti della vita di uomo e di campione di Marco Pantani. E così subito dopo aver salito quel primo gradino, arriva anche la prima caduta: un incidente mentre si allena per il Giro del 1995 lo costringe a rinunciare e a concentrarsi sul Tour de France. Le condizioni fisiche non sono ottimali, ma il 12 Luglio riesce comunque a compiere l’impresa: sull’Alpe d’Huez, a 13 km dal traguardo, stacca tutti raggiungendo e superando il gruppetto in testa. E vince. Salite e cadute. Al Giro del 1997 nella discesa del valico di Chiunzi, un gatto attraversa la strada al suo passaggio: le ferite riportate lo costringono ad abbandonare la corsa. Salite e cadute. Arriva poi il momento in cui la salita si compie e Marco Pantani raggiunge la vetta, il momento in cui sai di essere diventato un Campione. E’ il 27 Luglio 1998 e nella tappa Grenoble – Les Deux Alpes Marco Pantani (che a Giugno aveva già vinto il Giro d’Italia) scrive una pagina di storia dello sport incancellabile: a 47 km dal traguardo sul Colle del Galibier si ripete un copione già visto, Pantani si alza sui pedali e parte. Sotto la pioggia delle Alpi arriva primo al traguardo staccando di quasi 9 minuti il leader della classifica Jan Ulrich. Conquista la maglia gialla e non la lascia più fino a Parigi, compiendo quell’anno l’impresa riuscita prima solo a pochi eletti : la doppietta Giro e Tour. E’ arrivato in cima Marco Pantani quel 1998 ed è pronto a restarci l’anno dopo, quando si presenta da favorito al Giro d’Italia. Entusiasma ancora con l’impresa di Oropa, quando un salto di catena lo costringe a fermarsi e lui con una rimonta che ha dell’incredibile riparte e riprende i suoi avversari, uno per uno. E vince. Poi la caduta. Un livello di ematocrito sopra il limite consentito, troppo presto liquidato come “doping” da media e opinione pubblica, lo stop di 15 giorni, l’orgoglio ferito di un Campione che stavolta forse cade da troppo in alto. E non si rialza più. Cocaina e depressione lo portano la sera del 14 Febbraio 2004 nella stanza di un residence di Rimini dove, a 34 anni, Marco Pantani muore. Non c’è una sola spiegazione alla parabola del ragazzo di Cesenatico che sarebbe potuto andare a vendere piadine e che invece tra il 1994 ed il 1999 conquistò le prime pagine dei giornali. L’invidia degli dei, dicevano i Greci, l’invidia degli uomini lamentano i familiari, quell’essere uomo e campione in un binomio indissolubile che ha condannato l’uomo nell’istante stesso in cui il Campione è finito.
Tina Aiello